Il quiet quitting, cioè il lento abbandono, o meglio il non essere più motivati riguardo al proprio lavoro, è considerato un fenomeno ormai di grandi dimensioni che le aziende si trovano a dover gestire.

Secondo il report State of the global workplace 2022 della società di ricerche di mercato Gallup in Europa solo il 14% dei dipendenti è davvero coinvolto nella propria attività lavorativa e appena il 33% si sente appagato, mentre negli Stati Uniti la percentuale dei quiet quitter raggiungerebbe addirittura il 50% dei lavoratori.

La crescente insoddisfazione e la necessità di gestire meglio il work and life balance, cioè l’equilibrio lavoro/vita privata, se da un lato ha portato al fenomeno delle grandi dimissioni, dall’altro ha generato la tendenza dei lavoratori a non fare più del dovuto, a non essere particolarmente coinvolti. A mollare lentamente.

Il fenomeno è ancora più preoccupante se si considera che il quiet quitting riguarda la generazione potenzialmente più produttiva, cioè la Z e i millenial, di età quindi inferiore ai 40 anni.

L’ultima ricerca condotta in questa fascia di età da LinkedIn, in Italia il 54%, sta considerando di cambiare lavoro nel 2023, una percentuale che sale al 69% tra la GenZ. Tra le principali motivazioni troviamo l’esigenza di un aumento di stipendio (31%), la ricerca di un miglior equilibrio tra vita privata e professionale (29%), il sentirsi più sicuri nelle proprie capacità (29%).

In sostanza pesa la mancanza di opportunità di sviluppo delle proprie competenze e della propria carriera professionale.

La soluzione dell’internal reshuffle, cioè un rimpasto interno all’azienda, secondo alcuni esperti potrebbe rivelarsi preziosa, se ben fatta e con le dovute accortezze, per trattenere le persone e rimotivarle. Da una parte, infatti,  aumenterebbe la fidelizzazione del dipendente che conosce già le dinamiche aziendali e che dovrebbe essere formato al nuovo ruolo professionale. Dall’altra parte le aziende risparmierebbero tempo e costi nel reclutamento di nuove risorse.