«Buongiorno, mi chiamo Malavolti Fiorenzo, ho 94 anni e sono solo in casa: non mi manca niente, mi manca solo una persona fisica con cui scambiare il brindisi di Natale. Se ci fosse un militare disponibile 10 minuti a venire a trovarmi perché sono solo, ho i figli lontani e sono depresso».

E’ la chiamata che hanno ricevuto i Carabinieri della centrale operativa di Vergato, nel Bolognese il giorno di Natale. La chiamano Christmas Blue, la cosiddetta depressione natalizia, che secondo lo psicologo e psicoterapeuta di fama mondiale, Giorgio Nardone, colpisce milioni di italiani durante le festività.

Un fatto analogo, ma con motivazioni diverse, era accaduto qualche giorno prima, quando i Carabinieri della Stazione di Alto Reno Terme sono dovuti andare in soccorso di un altro anziano che da giorni era rimasto al freddo a causa di un’anomalia dell’impianto di riscaldamento.

Episodi che ci raccontano come non ci sia solo il covid a devastare la nostra vita. C’è anche la solitudine, la paura, la depressione, l’assenza di relazioni, la mancanza di contatto con la realtà e l’impossibilità di risolvere facilmente piccoli inconvenienti quotidiani. Tutte situazioni che potrebbero essere accolte presso un call center per un primo intervento di ascolto e soccorso, e convogliate poi agli organismi competenti. Ma sono anche situazioni in cui, a volte, una voce amica dall’altra arte della cornetta basta a dare un momento di sollievo alle tante persone sole in questo momento o a far scattare un campanello d’allarme..

Torna così prepotentemente alla ribalta l’idea del call center come punto di ascolto e “cuscinetto emotivo”, lanciata mesi fa dal presidente di Assocontact, Lelio Borgherese. Purtroppo per ora inascoltata.

Studio Corvi