Europei di calcio, in campo giocano Danimarca e Finlandia.
Al 43esimo di gioco Christian Eriksen si accascia a terra. È subito chiaro che la situazione è grave.
Il suo cuore ha smesso di battere.
Per 12 minuti i telespettatori rimangono col fiato sospeso. Le immagini scorrono drammaticamente sullo schermo e verranno rilanciare da tutti i telegiornali nelle ore successive. Oggi possiamo raccontarla con un lieto fine, Eriksen è salvo e le sue condizioni sono stabili grazie alla tempestività dei suoi compagni di gioco e del soccorso medico.
Quei 12 minuti però non sono solo un fatto di cronaca, ma una vera e propria lezione di leadership.
Dodici minuti in cui il capitano Simon Kjaer soccorre immediatamente il compagno a terra, aprendogli la bocca per tirare fuori la lingua, mentre partono i soccorsi; con pochi gesti organizza una barriera umana davanti al corpo del giocatore.
I volti dei compagni sono stravolti, in lacrime, alcuni si nascondono il volto dietro la maglia, altri si mettono le mani nei capelli, ma sono lì, agganciati l’uno all’altro a preservare la privacy del giocatore a terra mentre i medici gli praticano il massaggio cardiaco e lo defibrillano. La barriera umana formata dalla squadra lo scorta così fino fuori del campo, mentre il capitano raggiunge la moglie di Eriksen per confortarla e sostenerla.
Il capitano Kjaer è rimasto lucido, è stato tempestivo, determinato, comprensivo, autorevole. Soccorre il compagno a terra, organizza la squadra e si occupa della moglie sconvolta.
Questo è un leader. E questa è una squadra, che non è semplicemente un gruppo di persone, ma un insieme di individui con obiettivi chiari e condivisi.
“Christian se n’era andato, era praticamente morto” ha dichiarato in seguito in conferenza stampa il responsabile medico della Danimarca Martin Boesen, comunicando anche che l’intera squadra ora sta ricevendo un supporto psicologico per il trauma subito non facile da superare, ma non c’è dubbio che siano una grande squadra.
Nel cuore di molti hanno già vinto loro.