Nel 2016, si valutava che 163 milioni di donne, nei 74 Paesi coinvolti dal Women Entrepreneurship Report, Donne e imprenditorialità nel mondo, praticassero un’attività imprenditoriale. Ma la strada per una completa parità di genere è ancora lunga da percorrere, anche in ambito imprenditoriale. Secondo l’analisi del Global Entrepreneurship Monitor (GEM), sono il Canada, l’America Latina, il Sud Est Asiatico e l’Africa Sub-Sahariana, le aree che hanno visto aumentare più marcatamente la presenza femminile nel mondo imprenditoriale: in questi Paesi e regioni, il TEA (il Tasso di Attivazione Imprenditoriale, la percentuale di adulti tra i 18 e i 64 anni che ha attivato un’impresa negli ultimi 42 mesi) della popolazione femminile è aumentato in media del 10%. Nemmeno le economie più avanzate sono esenti dal gap di genere: in Germania, il TEA della popolazione femminile è al 3%.

In Europa il livello di TEA femminile è del 60% più basso rispetto a quello maschile, e nessuna delle economie europee vede un livello di TEA femminile pari o superiore rispetto a quello maschile. Nel vecchio continente vi sono delle eccezioni. I soliti Paesi nordici, ma non solo: oltre a Finlandia, Svezia e Norvegia anche in Italia il livello di imprenditorialità per necessità (ovvero: assenza di alternative di lavoro o di mobilità sociale) è inferiore al 10%.

Se il senso comune e gli studi statistici presentano l’Italia come un Paese in cui la completa parità di genere è ancora lontana, un’indicazione positiva viene quindi dalla forte motivazione delle nostre, o meglio, di noi donne imprenditrici.

Gli elementi di contesto sono importanti per motivare o scoraggiare l’imprenditorialità femminile: le aspettative sul ruolo delle donne negli affari e nella famiglia, le credenze religiose e la disponibilità di servizi per l’infanzia.

In Italia sono 2 ,8 milioni le donne che, a diverso titolo, fanno impresa e rappresentano oltre un quarto delle forze imprenditoriali (26,6%). Tra esse: 845.895 sono titolari d’impresa, 624.491 sono socie d’impresa, 1.090.693 sono amministratrici e 238.682 ricoprono altre cariche.

Nelle regioni italiane i tassi di imprenditorialità femminile (quota di cariche ricoperte da donne sul totale) più alti si registrano nel Centro e nel Nord-Ovest del Paese. L’incidenza delle quote di donne che fanno impresa varia da un valore minimo del Trentino Alto Adige (23,4%) ad un massimo della Valle D’Aosta (30,2%).

La presenza di donne che fanno impresa appare maggiormente concentrata nel settore del commercio, dove lavora il 23,7% delle donne, seguito dalle attività di alloggio e ristorazione (10,5%) e dalle attività manifatturiere (10,2%).

Inoltre i settori con i tassi di imprenditorialità femminile (espressi come numero di donne su totale) più elevati sono le “altre attività di servizi” (53,8%) e le attività sanitarie (43,0%) e di assistenza sociale (38,1%).

Anche nel 2017 l’imprenditorialità femminile ha contribuito alla crescita del tessuto imprenditoriale nazionale. Rispetto al 2016 il numero di donne imprenditrici è aumentato dello 0,3.

Un dato incoraggiante: l’imprenditorialità femminile è cresciuta soprattutto nel Sud del Paese. Tassi di incremento positivi, e molto al di sopra di quelli riferiti alla componente maschile, si sono registrati in Sicilia (+1,6% contro +0,8), in Sardegna (+1,4% contro +0,3%), nel Lazio (+1,0% contro +0,5%) e in Calabria (+0,9% e +0,7%). Nella maggior parte del Nord del Paese, invece, la componente femminile condivide variazioni negative con quella maschile tuttavia di entità più contenuta.

I settori in cui il numero delle donne che fanno impresa è aumentato in maniera considerevole sono gli “altri servizi” (+2,7%), vale a dire i servizi per la persona quali parrucchieri e trattamenti estetici, i servizi sanitari e di assistenza sociale (+2,1%) e l’istruzione (+1,6%).

Vi è una crescita importante anche nelle attività professionali, scientifiche e tecniche (+1,9%), ossia nei servizi caratterizzati da livelli di istruzione/formazione professionale più elevati.

In tutti questi settori si registrano tassi di crescita superiori a quelli riferiti alla componente maschile.

L’imprenditoria femminile si inserisce all’interno del più ampio insieme del lavoro indipendente che comprende oltre agli imprenditori e ai lavoratori in proprio, anche i liberi professionisti, i coadiuvanti familiari, i soci di cooperative e i collaboratori.

Le donne imprenditrici e/o connesse alle libere professioni e al lavoro autonomo sono il 79% circa del lavoro indipendente femminile. Si tratta di un dato più contenuto rispetto a quello maschile (circa 92%) che tuttavia non sorprende. Quasi il 10% delle lavoratrici indipendenti in Italia è infatti coadiuvante familiare e svolge dunque una professione importantissima in termini sociali, che per le sue caratteristiche è svolta prevalentemente dalle donne.

Nel 2017 l’Italia è la seconda nazione europea per numero di lavoratrici indipendenti dopo il Regno Unito. Dai dati dell’Ufficio di analisi e statistica della Unione europea (Eurostat), riferiti al terzo trimestre, emerge infatti che nella popolazione di età lavorativa compresa tra i 15 e i 64 anni del nostro Paese le lavoratrici indipendenti sono quasi 1,4 milioni, un numero poco inferiore a quello del Regno Unito ma che pone il Bel Paese davanti alla Germania (quasi 1,3 milioni di unità), la Francia (990mila unità), la Spagna (964 mila unità), e la Polonia (830mila unità).

Fonti:

Centro Studi- Confederazione Nazionale dell’ Artigianato e della Piccola e Media Impresa (CNA), Le donne che fanno impresa, http://www.cna.it/centro-studi/notizie/le-donne-che-fanno-impresa

Fondazione Aristide Merloni, GEM Women Entrepreneurship 2016-2017 Report. Donne imprenditorialità nel mondo”, https://www.fondazione-merloni.it/2018/03/08/gem-women-entrepreneurship-report-donne-imprenditorialita/